Da Venerdì 10 allo Snaporaz, Noi credevamo, il Risorgimento italiano raccontato da Mario Martone. In concorso al festival di Venezia.
Con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Andrea Bosca, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Andrea Renzi, Renato Carpentieri, Guido Caprino, Ivan Franek, Stefano Cassetti, Franco Ravera, Michele Riondino, Roberto De Francesco, Toni Servillo, Luca Barbareschi, Luca Zingaretti.
Drammatico, durata 170 min. – Italia, Francia 2010
Trama: Tre ragazzi del sud Italia, in seguito alla feroce repressione borbonica dei moti che nel 1828 vedono coinvolte le loro famiglie, maturano la decisione di affiliarsi alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini. Attraverso quattro episodi che corrispondono ad altrettante pagine oscure del processo risorgimentale per l’Unità d’Italia, le vite di Domenico, Angelo e Salvatore verranno segnate tragicamente dalla loro missione di cospiratori e rivoluzionari, sospese come saranno tra rigore morale e pulsione omicida, spirito di sacrificio e paura, carcere e clandestinità, slanci ideali e disillusioni politiche.
Recensione: Noi credevamo esce in una copia lievemente ridotta rispetto al film visto a Venezia. Martone giura di esserne soddisfatto: «Il film è migliorato, ho asciugato soprattutto la prima parte: se prima era un andante, adesso è un allegro». Il regista pensa al film come ad una sinfonia in 4 movimenti, piuttosto che ad uno sceneggiato tv in4 puntate. Non ha torto, se si pensa che sinfonie e melodrammi (assieme ai feuilleton) erano gli intrattenimenti popolari dell’Ottocento. Noi credevamo copre un arco temporale che va dal 1828 al 1862. Martone e il suo sceneggiatore, Giancarlo De Cataldo, hanno creato tre protagonisti fittizi, tre amici – Domenico, Angelo e Salvatore – di origine aristocratica e giacobina i primi due, figlio di contadini il terzo, che nel primo capitolo si affiliano alla Giovine Italia di Mazzini e strada facendo incrociano personaggi ed episodi rigorosamente storici. Non siamo molto lontani dal lavoro di De Cataldo per Romanzo criminale: protagonisti immaginari ma molto vicini al vero, contesto reale e documentato al mille per mille. Dal Cilento i tre ragazzi salgono prima a Torino, poi a Parigi dove incontrano la mitica principessa Cristina di Belgioioso e chiedono a lei aiuti per sostenere la causa mazziniana. Nel secondo «movimento» Domenico è in carcere, dove discute del futuro dell’Italia con Carlo Poerio e altri patrioti. È il momento più alto del film, dove un’impostazione teatrale quasi brechtiana si sposa a una verità – di scrittura e di recitazione – degna di Rossellini. Ci si interroga: l’Italia deve essere monarchica o repubblicana, meridionale o piemontese? È la dialettica dei «due Risorgimenti » che per Martone è il cuore speculativo del film. Fin da prima di Garibaldi e dei Mille, l’Italia nasce divisa: chi la vuol repubblicana (Mazzini) e chi persegue l’annessione del Sud al Piemonte (Cavour), e questa – passateci il paradosso mancanza di unità sul progetto di Unità è alla radice dell’Italia di oggi, e fa di Noi credevamo una riflessione sul nostro presente. «Questa divisione si è ripresentata in tutte le forme che la nostra storia successiva ha conosciuto, passando ovviamente attraverso fascismo e antifascismo e arrivando fino ai giorni nostri», dice Martone. Come dargli torto, vedendo le crepe sempre più profonde che segnano anche la vita civile e politica del presente? Nel terzo movimento Angelo partecipa all’attentato contro Napoleone III, nel quarto l’unità è compiuta e cominciano riciclaggi e trasformismi. Il Crispi di Luca Zingaretti e il Mazzini di Toni Servillo sono due fra le tante anime del film, l’opportunismo politico contro l’idealismo tragico. Abbiamo citato due dei bravissimi attori e servirebbe un’intera pagina di giornale per citare tutti gli altri. Diciamo solo che il livello della recitazione è un altro motivo per non perdere questo magnifico film. – Alberto Crespi – L’Unità
trailer:
Martone parla del film: