Barry Lyndon – Kubrick, le luci e Milena Canonero

barry e stanley

KUBRICK SUL FILM

“Per Barry Lyndon ho creato un vastissimo archivio iconografico di disegni e di dipinti presi da libri d’arte. Queste figure servirono come punto di riferimento per tutto quello che avevamo bisogno di creare: vestiti, suppellettili, arnesi, strutture architettoniche, veicoli, eccetera. Una buona ricerca è assolutamente indispensabile e mi diverte farla. Si ha un motivo importante per studiare un certo argomento con una profondità maggiore di come l’avreste studiato altrimenti, e si ha inoltre la soddisfazione di utilizzare quelle conoscenze acquisite per un buon fine immediato. Mi ci volle un anno per preparare Barry Lyndon prima di passare alla lavorazione, e credo che sia un tempo assai ben speso. Il punto di partenza e la conditio sine qua non di qualsiasi vicenda storica o fantascientifica consistono nel farvi credere in quello che vedete. […]

Barry Lyndon offriva l’opportunità di fare una delle cose che il cinema può realizzare meglio di qualunque altra forma d’arte, presentare cioè una vicenda a sfondo storico. La descrizione non è una delle cose nelle quali i romanzi riescono meglio, però è qualcosa in cui i film riescono senza sforzo, almeno rispetto allo sforzo che viene richiesto al pubblico. […] Penso che il cinema muto avesse molte più qualità del cinema sonoro. Barry e Lady Lyndon siedono entrambi al tavolo da gioco e si scambiano lunghe occhiate. Non dicono una parola. Lady Lyndon esce sulla terrazza per prendere un po’ d’aria. Barry la segue. Si fissano negli occhi e si baciano. E ancora non hanno detto una sola parola. È tutto molto romantico, però nello stesso tempo credo che suggerisca quell’attrazione vuota che sentono l’uno per l’altra e che scomparirà con la stessa rapidità. Prepara cioè il terreno a tutto quello che seguirà nel loro rapporto. Credo che gli attori, le immagini e la musica di Schubert funzionassero bene insieme”. (Michel Ciment, Intervista a Stanley Kubrick, in Kubrick, Rizzoli, Milano, 1999)

Barry Lyndon

IL LAVORO SULLE LUCI

Il lavoro del direttore della fotografia John Alcott per Barry Lyndon segna una pietra miliare nella storia del cinema contemporaneo. Ciò che più stupisce gli spettatori alla metà degli anni Settanta è il trattamento delle scene notturne. In effetti, volgendo risolutamente le spalle alle convenzioni abituali e alle costrizioni tecniche per cui una scena ambientata nel passato, alla fine risultava illuminata come quelle moderne, Alcott e Kubrick optano per la luce “naturale” dell’epoca: quella delle candele. Scelta estetica resa possibile dall’evoluzione tecnica, in campo ottico, nella fabbricazione della pellicola con nuove emulsioni ultrasensibili, e nei procedimenti di sviluppo e stampa in laboratorio.

Ma le esigenze del regista e del direttore della fotografia trovano talvolta soluzione solo grazie a un lavoro di bricolage, ad esempio l’adattamento di un obiettivo a grande apertura previsto in origine per funzionare su macchine fotografiche, come racconta John Alcott: “Stanley ha avuto l’idea di adattare l’obiettivo fotografico Zeiss – il 50mm F. 0,7 – alla sua macchina da presa Mitchell. È Ed Di Giullo che ha modificato la Mitchell in modo che vi potesse essere installato questo obiettivo a grande apertura. È il genere di sfida che piace a Stanley. Sono pochi i cineasti che si pongono problemi di questo tipo e decidono di dedicarvi il tempo necessario. Sono stati necessari tre mesi per mettere a punto questo nuovo obiettivo”.

Il procedimento messo a punto da Kubrick e Alcott tocca l’apice nelle scene di gioco, come quando Lord Ludd, circondato dalle sue amanti (omaggio a Watteau) affronta Balibari e Redmond; o nell’incontro con Lady Lyndon, dove l’azione drammatica si concentra nello scambio di sguardi: la calda luce delle candele sui cristalli (rafforzata dai riflettori), i colori cangianti dei costumi, il viso truccato di uomini e donne, l’affettazione dei personaggi creano davanti ai nostri occhi l’impressione di un mondo completamente “altro”.

Si osservi che l’impiego di questa illuminazione, giustificato quando si tratta di un palazzo, pone invece problemi di verosimiglianza quando si gira in ambienti più modesti, come nella capanna di Lischen che, per necessità di ripresa, sfoggia una mezza dozzina di candele: spesa voluttuaria assolutamente improbabile all’epoca. Le riprese ‘a luci basse’, l’uso di un obiettivo a grande apertura di diaframma, la ‘forzatura’ del negativo in laboratorio danno tuttavia un effetto estetico interessante: la creazione di una ‘grana’ sull’immagine, effetto differente da quello più frequente della “tramatura”. Così, l’immagine cinematografica sa ritrovare le preoccupazioni pittoriche di certi fotografi anglosassoni di fine Ottocento.

Altrettanto interessante è il lavoro sull’immagine in esterni. Nei paesaggi, Kubrick e Alcott rinunciano a quello che è stato a lungo uno dei ‘luoghi proibiti’ della ripresa: la ‘falsa tinta’, cioè la variazione di luce naturale, come per l’arrivo di una nuvola sul sole durante le riprese. Non si trattava soltanto di una scelta estetica: la pellicola, infatti, non permetteva scarti di esposizione che per un tempo assai ridotto nel bianco e nero e, a maggior ragione, nel colore. Barry Lyndon è dunque il primo film a proporci superbi paesaggi e soprattutto ammirevoli cieli, degni del pennello di Constable, dove l’occhio vede vivere la luce e il vento. Bisogna ancora sottolineare le “luci basse” in esterni (effetto di crepuscolo o di nebbia), come l’impiego della luce radente alla fine del giorno nella scena in cui il capitano Quin corteggia Nora Brady prima di essere interrotto dall’arrivo di Redmond: qui il riferimento a Gainsborough è stupefacente. La luce del giorno morente esalta i colori, soprattutto negli abiti femminili, tutto acquista rilievo grazie alle ombre prodotte e si crea un effimero clima drammatico. (Philippe Pilard, Stanley Kubrick: Barry Lyndon, Lindau, Torino 2004, pp. 78 -83)

marisa berenson

L’OSCAR A MILENA CANONERO

Nei film di Kubrick nulla appare mai lasciato al caso. Sarà proprio il capolavoro kubrickiano Barry Lyndon a procurare a Milena Canonero – fulgido astro della costumistica contemporanea – la prima nomination, che si trasforma inevitabilmente in Premio Oscar nel 1976. La perfezione di questo film, passato alla storia per il maniacale gusto del dettaglio che lo pervade, in ogni aspetto della sua realizzazione, dalla fotografia al costume, dalla musica alla recitazione degli attori, esalta l’intervento della Canonero (qui affiancata da Ulla-Britt Soderlund): non è fuor di luogo affermare che ci troviamo dinanzi ad uno degli esiti più alti della storia del costume cinematografico. Pur senza mai soverchiare il racconto, in Barry Lyndon il costume assurge al ruolo di protagonista, sin dalla prima sequenza, che ci mostra una raffinata schermaglia amorosa tra il giovane Redmond Barry e la smaliziata cugina Nora. Il contrasto tra questo mondo provinciale irlandese, quasi fatato, e la potenza britannica viene rappresentato dall’intenso rosso della divisa del capitano Quinn, elemento dirompente della storia. All’apparizione delle uniformi militari si associa spesso una marcetta irlandese dei Chieftains che ricuce l’intero arco narrativo di Barry Lyndon. Anche in questo film, così come in Arancia meccanica balza all’occhio quel particolarissimo rapporto tra musica e costume: come se il costume si fondesse con il leit motiv della colonna sonora, rendendolo ancor più orecchiabile. E la musica, dal canto suo, trova nel costume la possibilità di trasformarsi in immagine. Il risultato è una specie di andamento sinfonico di musica e forme.

(Stefano Masi, Costumisti e scenografi del cinema italiano, Lanterna magica, L’Aquila 1990)

Il costume in Barry Lyndon sottolinea una certa formalità che in quel momento stava a cuore a Kubrick, il quale aveva scelto un certo tipo di musica e, per accompagnarla, usava dei movimenti di macchina molto lenti. […] La scrittura di Barry Lyndon è caratterizzata da carrellate e zoomate lentissime. Questa scrittura kubrickiana non accompagna tanto il costume, quanto la maniera di vivere dei personaggi. [L’immagine di Lady Lyndon] è nata dai pittori minori del Settecento inglese. Del resto quando hai un’attrice come Marisa Berenson, che è una donna straordinariamente bella e ha l’altezza gusta, puoi fare qualsiasi cosa con il costume. Avendo lineamenti così puliti e forti, avendo l’altezza, le potevi mettere in testa le enormi parrucche di quell’epoca, farle quelle pettinature incredibili senza correre alcun rischio. […] Abbiamo fatto tutto da noi, meno cinque costumi maschili presi alla S.A.F.A.S. Abbiamo realizzato tutti i costumi per conto nostro, anche le uniformi, anche le ghette, anche i cappelli… È una cosa abbastanza insolita e lo era ancor di più a metà anni Settanta. A quell’epoca Danilo Donati era l’unico a mettere in piedi dei laboratori di sartoria. Ma in Gran Bretagna, prima di noi, nessuno aveva allestito un laboratorio per un film.

(Milena Canonero, Intervista di Stefano Masi)

Barry Lyndon ha ottenuto anche l’Oscar per la migliore fotografia (John Alcott), per la migliore scenografia (Ken Adam, Roy Walker, Vernon Dixon) e per la migliore colonna sonora (Leonard Rosenman).

Tratto da : ilcinemaritrovato.it/per-conoscere-i-film/barry-lyndon/

 

Barry Lyndon è il primo film della rassegna Classici in sala in collaborazione con la Cineteca di Bologna e il Comune di Cattolica, in programma mercoledì 28 e giovedì 29 gennaio alle ore 21,00.

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