Costruire le “case per gli altri”. Immaginare e realizzare uno spazio ideale dove vivere, amare… E talvolta chi realizza questo per gli altri, si ritrova incapace di farlo per se stesso.
DOVE NON HO MAI ABITATO – Regia di Paolo Franchi con Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Hippolyte Girardot, Isabella Briganti.
Titolo originale Dove non ho mai abitato.
Durata 97 min. ITA 2017.
⇰ venerdì 3 novembre ore 21:15
⇰ sabato 4 novembre ore 21:15
⇰ domenica 5 novembre ore 18:30 e 21:15
⇰ lunedì 6 novembre ore 21:15
Francesca (Emmanuelle Devos), cinquant’anni, è l’unica figlia di Manfredi (Giulio Brogi), un famoso architetto che da quando è vedovo abita a Torino e che lei va a trovare solo in rare occasioni. Francesca da molti anni vive a Parigi con la figlia ormai adolescente e con il marito Benoît (Hippolyte Girardot), un finanziere sulla sessantina dal carattere introverso ma molto protettivo e paterno con lei.
Dopo essere stato vittima di un infortunio domestico, Manfredi, per avere per un po’ di tempo la figlia al suo fianco a Torino, le chiederà di fare le sue veci nel progetto di una villa su un lago per una giovane coppia di innamorati. Francesca si ritroverà così a collaborare con il ‘delfino’ del padre, Massimo (Fabrizio Gifuni), un uomo sulla cinquantina che ha basato tutta la sua vita sulla sua carriera di architetto, tanto che il legame con la sua compagna, Sandra (Isabella Briganti), prevede che entrambi mantengano i propri spazi di autonomia e indipendenza. Dopo un primo approccio difficile, tra Massimo e Francesca piano piano nasce una grande sintonia professionale e un sentimento che li porterà, forse per la prima volta, a confrontarsi veramente con se stessi e i loro più autentici destini…
Costruire le “case per gli altri”. Immaginare e realizzare uno spazio ideale dove vivere, amare… E talvolta chi realizza questo per gli altri, si ritrova incapace di farlo per se stesso. È il caso del cinquantenne Massimo, talentuoso architetto, che nella vita ha schivato l’amore vero e si accontenta di una relazione complice ma distante con una donna che certo non ha fondato radici nella sua vita. Ed è il caso di Francesca, la figlia del grande architetto Manfredi, che si è costruita una famiglia all’estero con un uomo più maturo di lei. Un uomo quasi anziano, sostitutivo del padre, che la protegge e la ripara da tutto, anche da se stessa e da quelle potenzialità più radicali che l’avrebbero messa troppo in gioco: il suo talento di architetto e la passione, in tutte le sue sfaccettature…
Forse ciò che accomuna Massimo e Francesca è proprio questa paura, questa impotenza ad affrontare la vita e tutti i suoi aspetti sentimentali… Forse sono proprio queste affinità che li portano ad avvicinarsi l’un l’altra, a comprendersi, capirsi e piano piano innamorarsi… Forse, prima del loro incontro (inconsciamente pilotato dal grande architetto Manfredi, padre naturale di Francesca, padre ideale di Massimo, deus ex machina della fabula in un certo senso), Massimo e Francesca non si erano posti questo problema, vivevano la loro vita senza evidenti frustrazioni esistenziali, convinti che le loro scelte fossero state le migliori possibili… Ma nel corso della storia le strade sembrano cambiare direzione. I due architetti, restaurando la villa per una giovane coppia di innamorati, si ritrovano faccia a faccia con se stessi. Costruendo una casa per gli altri, proprio questa casa demolisce le loro certezze affettive. E allora affiorano i dubbi, i rimpianti, le domande…
Da questa “storia d’amore” che inizia e si conclude là, in quella “casa costruita per gli altri”, i due architetti escono di scena, ribadendo quello che amaramente sono ma con tutta un’altra consapevolezza… Un film di struggente disillusione, dove i personaggi sono costretti dagli eventi a fare i conti con se stessi ( e forse non è un caso che il film inizi e finisca con un compleanno, metaforico momento di riflessione di sé e del proprio rapporto con la vita che ci passa accanto).
Un film di caratteri, di attori. Un’atmosfera autunnale. Una narrazione lineare, naturalistica e semplice che si riavvicina al mio film d’esordio “La spettatrice”. Un film riconciliato e non ossessivo. Un film tradizionale che non vuol dire “non personale”. Tutt’altro: ho cercato di mettere a servizio il mio stile al genere “sentimentale”, nel senso più nobile del termine. La melanconica prosa di Cechov e i personaggi “morali” e altoborghesi di Henry James hanno certamente influenzato la mia ispirazione. Una ricerca che ha anche una volontà di ritrovare atmosfere di film passati. Lo si può chiamare vintage. Derivativo. Postmoderno. O semplicemente classico. Paolo Franchi
Per la rassegna “I Classici Disney allo Snaporaz”, proiettiamo IL LIBRO DELLA GIUNGLA, un film d’animazione del 1967 prodotto dalla Walt Disney Productions e diretto da Wolfgang Reitherman. È ispirato alle storie del bambino selvatico Mowgli dell’omonimo libro di Rudyard Kipling. Fu l’ultimo film ad essere stato prodotto da Walt Disney, che morì durante la sua produzione.

Titolo originale The Jungle Book. Durata 78 min. USA 1967.
⇰ domenica 5 ottobre ore 14:00
⇰ domenica 5 ottobre ore 16:00
Vagando per la foresta, la pantera Bagheera scorge in un canestro dondolante sull’acqua di un laghetto un cucciolo d’uomo abbandonato a se stesso. Intenerita essa lo affida alle cure di una famiglia di lupi, con i quali Mowgli – questo è il nome che gli è stato dato – cresce fino a diventare uno sveglio ragazzino, amico di tutti gli animali. Un giorno, sparsasi nella foresta la voce che Shere-Khan, la tigre, è tornata per ucciderlo, i lupi lo affidano a Bagheera perchè lo conduca al villaggio degli uomini. Durante il viaggio, che affronta malvolentieri, Mowgli, sfuggito alle spire di Kaa, il serpente, stringe amicizia con Baloo, un orso balzano e mattacchione con il quale vaga per la foresta, finché viene rapito dalle scimmie. Liberato dai suoi amici Bagheera e Baloo, Mowgli, piu’ che mai deciso a non raggiungere il villaggio degli uomini…
Per la rassegna “Il Cinema Ritrovato“, ci sarà il film più famoso della storia e uno dei meno visti, LA CORAZZATA DI POTËMKIN di Sergej Ejzenštejn.
Sceneggiatura: Nina AgadžanovaŠutko, Sergej Ejzenštejn. Fotografia: Eduard Tissé. Scenografia: Vasilij Rachal’s. Musica: Edmund Meisel. Interpreti: Aleksandr Antonov (marinaio Vakulincuk), Vladimir Barskij (comandante Golikov), Grigorij Aleksandrov (ufficiale Giljarovskij), Aleksandr Levšin, Andrej Fajt, Marusov (ufficiali), Zavitok (medico di bordo Smirnov), Michail Gomorov (marinaio nel comizio), Ivan Bobrov (marinaio recluta).
Titolo originale Bronenosec Potëmkin. Durata 68 min. – URSS 1925.
⇰ giovedì 9 novembre ore 21:15
È il film più famoso della storia del cinema e uno dei meno visti. Mai visto nella versione che qui proponiamo, restituito da un luminoso restauro allo splendore delle sue immagini. Un film che nella Russia del 1925 celebrava la rivolta dei marinai e della città di Odessa avvenuta nel 1905. Un film che “emergeva dal mare” con l’impeto creativo di un regista di ventisette anni, Sergej Ejzenštejn, destinato a portare la rivoluzione nel linguaggio cinematografico. La corazzata Potëmkin è un richiamo alla necessità della ribellione quando la giustizia e la dignità sono calpestate, un alto grido umanista in nome della fratellanza. Scrostato da decenni di polvere critica, sottratto al luogo comune dell’invettiva fantozziana, il capolavoro di Ejzenštejn può levare l’ancora verso le nuove generazioni. Perché questo è un film di una bellezza pazzesca!